Vico Magistretti e io
Un maestro viene riconosciuto come tale dai propri allievi e Vico Magistretti, ai miei occhi, non si è mai proclamato un “maestro” anche se riteneva giustamente di essere stato uno dei padri fondatori dell’Italian design: “l’unico movimento rivoluzionario che è durato fino al giorno d’oggi”, ripeteva spesso.
Ho trascorso quattro anni al suo fianco – dal 2003 al 2007 – nello studio di via Conservatorio, spesso seduti uno a fianco dell’altro sul tavolo da disegno, con la musica classica della filodiffusione come sottofondo. E più di una volta ho pensato di poter scrivere un “diario fenomenologico” su quella esperienza, così legata al passato ma sempre presente in tutto ciò che metto in opera nel mio mestiere di architetto (e non solo).
Non ho mai avuto l’onore di firmare insieme a Vico un progetto, anche se non sarebbe stata per lui la prima volta in quanto era una persona molto generosa con i propri collaboratori, ma ciò non importa perché penso di avere imparato molto da lui, come progettista e come uomo, quasi “a mia insaputa” visto che spesso sono state altre persone a farmelo notare.
Se dovessi scegliere di raccontare un progetto di architettura svolto insieme, sceglierei quello della villa a Losanna disegnata per il nipote Pierre Magistretti, una esperienza straordinaria: siamo partiti da un disegno in scala minuscola in cui Vico aveva già schizzato la pianta, le sezioni e i prospetti della casa che sarebbe stata costruita all’interno di una striscia di terreno in pendenza lunga e stretta. Ricordo bene che bisognava ancora decidere la distribuzione interna, in particolare il posizionamento della scala principale, e la mia prima proposta fu subito accettata con naturalezza. In tempi recenti, nel mio progetto per l’agriturismo a Poppi, in Toscana, mi si è proposto un problema simile, seppur nel contesto della ristrutturazione di un edificio storico: mi è sembrato di tornare indietro nel tempo. L’onda di entusiasmo legata a quel ricordo mi ha aiutato molto e successivamente mi è stato fatto notare che, proprio per la scala da me progettata, ho citato anche un dettaglio costruttivo della villa di Arenzano costruita da Magistretti nel lontano 1954.
Per quanto riguarda i progetti di industrial design mi vengono in mente le nostre visite alle sedi di importanti aziende – quali Campeggi, De Padova, Kartell, Oluce e Schiffini – per proporre nuovi progetti, alcuni dei quali mai realizzati, in cui Vico veniva ricevuto con tutti gli onori, come se fosse un re.
Vorrei poi ricordare il progetto di un tavolino in vetro per Fiam Italia in cui fui partecipe della sua nota capacità di “progettare al telefono”. Ricevetti una telefonata mentre ero in studio da Vico: mi preannunciava la ricezione di un fax (si usava ancora il fax!) e diceva che avrebbe voluto realizzare un tavolino di vetro composto da due identici pezzi, composti ciascuno da una lastra di vetro curvato. In seguito ricevetti in studio il fax (con la dicitura “per Paolo”), in cui era presente uno schizzo ben difficile da interpretare senza le spiegazioni preliminari date “a voce” da Vico.
Presi due fogli di cartone, ragionai in tre dimensioni e alla fine trovai una soluzione sagomandoli in modo che aderissero l’uno con l’altro. In seguito mostrai a Vico proprio quel modellino che sarebbe cambiato di poco nelle proporzioni rispetto alla versione finale del progetto che andò in produzione. Fu molto contento, tanto che accettò anche da parte mia il suggerimento del nome “Gemini” (Gemelli).
Da allora il tema del “doppio” si è fatto per me molto importante e si è realizzato in molti progetti, tra i quali il divano letto “Alfabeta” per Campeggi (due letti “identici” che unendosi formano un divano).
Sono solo due episodi tra i tantissimi che potrei testimoniare, momenti che mi vengono in mente sempre in particolari occasioni legate a nuovi progetti o a bei momenti vissuti insieme a comuni amici.
L’affetto di Vico nei miei confronti si espresse anche in occasione di un Natale, in cui mi disse: “vai a vedere sul tavolo della sala riunioni!”. Vi trovai una sedia “Selene” verde ribaltata sul tavolo con una scritta sotto alla seduta: “Per Paolo. Buon Natale. Vico”. Ancora la conservo gelosamente in casa, questa dedica nascosta mi fa molta compagnia.
La scomparsa di Vico per me è stata un dolore che è durato per molto tempo: si stenterà a crederlo, ma non avrei mai pensato di poter continuare a “lavorare da solo” una volta che fosse mancato; durante la sua malattia abbiamo lavorato fino a pochi giorni prima della sua scomparsa, mai pensando che ci sarebbe stato un “ultimo progetto”.
La mia crisi si è successivamente dissolta nella consapevolezza che nessuno di noi è solo: il dialogo interiore con i propri maestri non si conclude mai e quello che si progetta si basa su esperienze che ci hanno già formato, anche quando sembra che tutto si manifesti magicamente “per la prima volta”.
La potenza evocativa del ricordo è sempre viva, d’altronde l’etimologia del verbo “ri-cor-dare” deriva da “ri-portare al cuore”.